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RENNES-LE-CHÂTEAU: LA COSTRUZIONE DEL MITO 1. La forza del mistero

Rennes-le-Château, un piccolo paesino della Francia meridionale ad una quarantina di chilometri a sud di Carcassonne, ha scatenato da più di un secolo un interesse incredibile, interesse che da molti anni ormai ha investito anche l’Italia. Fiumi d’inchiostro sono stati versati, pubblicazioni infinite di libri e articoli, trasmissioni televisive, romanzi…

La Tour Magdala, divenuta simbolo del paese di Rennes-le-Château, è posta in cima ad un’alta collina che domina la confluenza tra l’Aude e la Salz, su una prominenza calcarea che costituisce un magnifico panorama. (Foto dell’autore)

Pur contando solo una manciata di abitanti, ogni anno Rennes-le-Château è meta di migliaia di amanti del mistero e cercatori di tesori, attratti da un corpus leggendario creatosi dal sovrapporsi di tematiche provenienti da ambienti culturali molto diversi.

Effettivamente gli “ingredienti” per attirare e incuriosire gli appassionati di “misteri” e subdoli complotti, ancora di più poi se riferiti alla Chiesa cattolica, ci sono tutti: si parla di un un misterioso Secret (“segreto”), di cui però non si conosce l’esatta natura. 

C’è poi un immenso tesoro, in gran parte ancora da ritrovare. Per alcuni si tratterebbe del tesoro dei Visigoti, costituito dal bottino del sacco di Roma e dal tesoro del Tempio di Gerusalemme che era stato saccheggiato nell’anno 70 d.C. dalle legioni di Tito e portato a Roma, impresa immortalata sull’Arco di Tito a Roma, nel Foro Romano. Si stima che consistesse in molti pezzi d’oro, per non parlare dei numerosi oggetti preziosi, come la Menorah, il biblico candeliere a sette braccia. A Roma venne collocato all’interno del tempio dedicato a Giove Capitolino sul Campidoglio. Come è noto, il destino del tesoro del Tempio di Salomone è tuttora ignoto. C’è chi ipotizza che potrebbe essere rimasto a Roma e poi inviato a Bisanzio, o disperso o fuso. Altri dicono che sia stato portato via dalle truppe d’Alarico, il re dei Visigoti, che il 24 agosto 410 aveva assediato e saccheggiato Roma e che, recandosi nella Francia meridionale, abbiano portato con sé il bottino di guerra.

Narbonne, Carcassonne, Toulouse: in queste città stabilirono i signori visigoti le loro residenze, tutti centri non lontani da Rennes-le-Château, l’antica Rhedae. Un secolo dopo, sotto la minaccia del merovingio Clodoveo, i Goti si videro costretti a nascondere l’importante tesoro che non fu mai più ritrovato. E per alcuni, il favoloso tesoro dei Visigoti potrebbe essere stato occultato proprio nel paesetto dei Pirenei.

Per altri si tratterebbe del tesoro reale, nascosto a Rennes-le-Château dalla regina  Bianca di Castiglia in fuga da Parigi. Il tesoro sarebbe composto da pietre preziose, oro e armature.

Per altri ancora si tratterebbe invece del tesoro dei Catari che era custodito a Montségur e che fu portato via nel 1244, alla vigilia della resa della fortezza, e nascosto in una delle numerose grotte che si trovavano nella regione.

Altre ipotesi riguardano il bottino raccolto dal re merovingio Dagoberto II durante le sue conquiste militari e infine, c’è chi ipotizza che possa trattarsi del tesoro del Regno di Maiorca, base ammiraglia della flotta templare, che fu portato via dagli stessi Templari quando abbandonarono la loro residenza catalana e che sarebbe composto da sei tonnellate d’oro.

Il libro quasi sconosciuto di Vezio Meleagri, “I tesori nascosti” del 1972, è il primo libro italiano a parlare del <<tesoro>> di Rennes-le-Château. (Foto dell’autore, il libro è conservato al Museo Bérenger Saunière a Rennes-le-Château)

«Il nome Rennes-le-Château è diventato sinonimo di mistero. Il suo segreto è sinonimo di tesoro. Ma di che tesoro si tratta? Un deposito di sacre reliquie? Un nascondiglio di monete, gioielli ed altri oggetti preziosi? Si tratta forse del mitico Graal? Oppure abbiamo a che fare con antichi documenti di grande valore storico? E inoltre: a quale epoca risalirebbe questo deposito? Quando e da chi fu portato a Rennes? E, per finire, la domanda chiave: dove esattamente fu occultato? Nella cripta della chiesa di Santa Maddalena? Sotto la torre Magdala? Nel cimitero? Nei sotterranei del castello oppure sotto villa Bethania? O forse il deposito non si trova nemmeno in paese, ma in qualche grotta nei dintorni di Rennes?» (Sabina Marineo, I tesori di Rennes-le-Château e il periodo Corbu. I primi passi del mito tra gli Anni Cinquanta e Sessanta, in www.renneslechateau.it )

Una piccola parte di questo immenso tesoro sarebbe stato ritrovato da uno strano e atipico parroco della piccola chiesa di Rennes-le-Château dedicata a Maria Maddalena, diventato improvvisamente ricchissimo, il quale sarebbe appartenuto ad una misteriosa società segreta o veniva comunque appoggiato da questa società occulta. E la stessa chiesa di Rennes, restaurata dal parroco, sarebbe lontanissima dagli schemi “ufficiali” cattolici e conterrebbe invece evidenti simboli esoterici e massonici.

Cartello pubblicitario posto all’interno del paese di Rennes-le-Château (Autore foto: Fabio Costa)

Ci sono poi degli strani e anomali edifici realizzati dal parroco del piccolo villaggio e delle pergamene, che avrebbe ritrovato e che conterrebbero misteriosi e complicatissimi messaggi cifrati e infine, entrano a far parte del mito di Rennes-le-Château, anche il Priorato di Sion, il Santo Graal e Maria Maddalena.

I costruttori del mistero hanno proposto una teoria dopo l’altra basandosi su fatti, che sono stati tramandati di libro in libro, accettati come veri, senza tenere conto che molti di essi erano stati già da tempo smascherati come falsi. A cominciare dai primi, Pierre Plantard e Gérard de Sède, che “inventarono” la leggenda di Rennes-le-Château. E a seguire, tanti altri libri che hanno sfruttato un filone commercialmente valido, legato ai maggiori miti cospirazionisti per tener desta l’attenzione, il cui apice si è avuto con un romanzo fantastico che, incredibilmente, ha conosciuto un enorme successo anche in Italia, Il codice da Vinci. Il libro, scritto da Dan Brown,  non è altro che l’ennesima e clamorosa rivisitazione del “mito” leggendario di Rennes-le-Château. Ed anche se la località nel romanzo non è mai nominata, tutti sanno che ci si riferisce proprio a quella.

E così schiere di studiosi e appassionati di casi misteriosi e di tesi storico-complottistiche hanno girato l’Europa e oltre alla ricerca di indizi, senza curarsi di esaminare approfonditamente i documenti storici, allo scopo di generare suggestioni di facile presa sul largo pubblico. E nei loro libri ricorrono i molti “si dice”, “si racconta”, “nulla si sa con sicurezza”.

A partire dagli anni Ottanta il mistero di Rennes-le-Château ha suscitato le più varie e improbabili teorie interpretative per decifrarne i segnali occulti. Tutto questo soprattutto alla ricerca dello scoop sensazionalistico più che della veridicità dei fatti. «Sempre trascurando, alquanto stranamente, la realtà storica della vicenda, i dati di fatto, anche quelli più evidenti. Anche la semplice cronaca dei fatti è stata più volte, ad arte, contraffatta per avvalorare le diverse teorie interpretative.» (Volterri – Piana, L’universo magico di Rennes-le-Château. Anche in Italia le tracce di un intrigante mistero, Milano, SugarCo, 2004)

Viene così sviscerato ogni più piccolo particolare, visto come strano, anomalo (ma che in realtà non è né strano né anomalo) e si cerca un suo significato “recondito”, “altro”, che sicuramente deve avere, al di là di quello “normale” e tradizionale. E così, tanto per fare un esempio, la decorazione con il teschio e la tibia, messa nel cancello che dà accesso al cimitero di Rennes-le-Château, diventa un “inequivocabile simbolo massonico”.

La decorazione con il teschio e la tibia nel cancello che dà accesso al cimitero di Rennes-le-Château (Foto dell’autore)

Ed ancora, negli anni Novanta alcuni rabbrividivano vedendo in uno stanzino adiacente alla chiesa di Rennes-le-Château, una bambola dai capelli veri… forse era indice di qualche rituale macabro, si chiedevano alcuni. Peccato non considerare la risposta più logica: nell’800 tutte le bambole avevano capelli veri!

Le valutazioni sugli afflussi a Rennes-le-Château vanno da circa 70.000 ad oltre 250.000 mila persone all’anno. Sono persone di tutte le età, che provengono principalmente dall’Europa, con una prevalenza di inglesi, e dall’America. E non sono mancati numerosi casi di profanazioni o distruzione di tombe, scavi, ritualità notturne, asportazione di statue e altri atti vandalici perpetrati anche all’interno della chiesa.

I due cartelli erano posti, fino a qualche anno fa, all’ingresso del paese: la vignetta di Saunière è tratta dal fumetto francese Rennes-le-Château “Le Secret de l’abbé Saunière“(1995), scritto e disegnato da Antoine Captier, Marcel Captier e Michel Marrot. La vicenda ricalca con precisione la storia di Bérenger Saunière così come raccontata dallo stesso Antoine Captier, insieme alla moglie Claire Corbu (figlia di Noël Corbu), nel libro “L’héritage de l’abbé Saunière
(Fonte: “Rennes-le-Château nei fumetti. Qualche contributo per una bibliografia ragionata“, di Mariano Tomatis Antoniono in http://www.renneslechateau.it. Il sito, curato da Mariano Tomatis, è una guida indispensabile e fondamentale, con la più vasta ricostruzione storico-documentaria ad oggi realizzata e il punto di riferimento più serio, approfondito e completo sulla storia di Rennes-le-Château)

«Ad ormai un secolo di distanza dalle vicende narrate, migliaia di persone, ogni anno, visitano il minuscolo villaggio di Rennes-le-Château. Compiono gli ultimi 4,5 chilomentri di erta salita con la speranza, in alcuni casi la certezza, che una volta giunti alla meta qualcosa di magico possa o addirittura debba accadere. Anche noi ci siamo stati […] e abbiamo toccato con mano i luoghi del mistero, rimanendo affascinati, meravigliati e anche – non poco! – perplessi per quell che ci siamo trovati di fronte. Chiedendoci che cosa possa esser successo in questo luogo, molto tempo fa. Perché qualcosa di molto strano è effettivamente successo.» (Volterri R. – Piana A., L’universo magico di Rennes-le-Château…, cit.)

La vicenda di Rennes è sicuramente molto complessa, si tratta di uno dei labirinti più intricati del mondo o anche di “un cubo di Rubik multicromatico” come è stato definito (M. Tomatis). La sua complessità è stata giustamente paragonata al tentativo di ricostruire un disegno utilizzando pezzi di puzzle provenienti da molte scatole diverse poiché i numerosissimi “pezzi”, che compongono la storia, provengono da epoche e personaggi diversi e sono stati tra loro mescolati, assemblati e amalgamati nel corso di un secolo.

E l’effetto che produce, a chi tenta sciogliere il filo della matassa, è quello di un totale straniamento visto che spesso i pezzi non combaciano tra di loro. Per questo motivo si può dire che si tratta di uno dei più grandi misteri della storia.

Mi sono imbattuta nel mistero di Rennes-le-Château casualmente perché mi stavo interessando, per motivi di studio e per motivi legati al mio lavoro di guida turistica, ad uno dei “pezzi del puzzle” il quale, a mia insaputa, rientrava anch’esso nel vasto fenomeno dell’enigma di Rennes-le-Château e di cui non ne ero a conoscenza. E così, “indirettamente”, per capire meglio la genesi del mio “pezzo”, ho iniziato ad interessarmi anche io al “caso” di Rennes-le-Château, leggendo libri e articoli vari che ne parlavano.

Ed ho deciso di dedicare a Rennes e a tutto quello che ruota intorno ad esso, molti articoli che vedrete pubblicati nel mio blog www.vogliadiarte.com, per sviscerare a fondo e cercare di comprendere e sciogliere la complessa matassa dell’enigma Rennes-le-Château.

Un paio di anni fa ho visitato personalmente questo piccolo paesino. Con la mia infaticabile Fiat 600 e in compagnia di due amici, siamo partiti da Roma diretti nella Francia meridionale, ed una delle tappe del nostro soggiorno è stata dedicata proprio a Rennes-le-Château.

All’ingresso del paese di Rennes-le-Château

Dopo aver passato vari tornanti,  con una segnalitica praticamente inesistente relativa a Rennes-le-Château, si arriva al luogo del “mistero” e in un cartello si legge: Domaine de l’Abbé Saunière e cioè “Proprietà dell’abate Saunière”.

Rennes-le-Château: un luogo “misterioso”, “magico”, “occulto”?  Verità, come sostengono alcuni, o mistificazione leggendaria? E come è nato questo mito? E perché questo paese  ha suscitato tanto interesse fin dal lontano 1956, quando uscirono i primi articoli su La Dépêche du Midi dedicati al misterioso tesoro e al curato miliardario Bérenger Saunière, il curé aux milliards di Rennes-le-Château?

Per capirlo, è proprio dall’Abbé Saunière che dobbiamo partire…

NB: PRESTO IN PROGRAMMA! Andremo insieme a Rennes-le-Château in un suggestivo tour nella Francia del Sud, dal 30 Ottobre al 3 Novembre 2019, che avrà un filo conduttore molto particolare. Una delle tappe del nostro tour sarà dedicata proprio alla visita di Rennes-le-Château. Sto definendo gli ultimi dettagli relativi al viaggio e presto il tour lo potrete vedere pubblicato sul mio sito www.vogliadiarte.com/voglia-di-viaggiare, sulla mia pagina Facebook “Voglia di Arte” (@vogliadiarteofficial) e su Meetup nel gruppo “Voglia di Arte”.

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La Napoli “bella”: Don Antonio Loffredo e i ragazzi del Rione Sanità

Questa è la Napoli che mi piace, questa è la Chiesa che mi piace e questi sono i progetti e le iniziative che mi piacerebbe vedere sviluppare e crescere anche nella mia città dove vivo e lavoro, Roma.

Domenica 18 Novembre 2018 ho organizzato per i miei clienti un tour a Napoli, una città incredibilmente bella e affascinante.

Napoli merita delle visite “settoriali” e questa volta avevo scelto un itinerario un po’ meno noto rispetto a quelli più consueti, incentrato nel Rione Sanità. Il tour comprendeva, tra i vari luoghi che abbiamo visitato,  il Cimitero delle Fontanelle e due interessantissimi  siti ipogei che si trovano nel Rione Sanità: le Catacombe di San Gennaro e le Catacombe di San Gaudioso, aperte al pubblico da non molto, grazie all’iniziativa del parroco del Rione e alla forza di volontà dei ragazzi della Sanità.

Le bellissime Catacombe di San Gennaro (Foto dell’autore)

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LA PERLA DI VILLA TORLONIA: LA SERRA E LA TORRE MORESCA, UN “GIOIELLO IN GABBIA”

Il complesso della Serra e Torre Moresca, capolavoro ottocentesco  dell’architetto Giuseppe Jappelli edificate tra il 1839 e il 1840,  è tra i più stupefacenti di Villa Torlonia su Via Nomentana.

Un tripudio di stucchi e di pietra intagliata, vetri policromi, rosoni a stella, un trionfo di decorazioni in azzurro, in giallo, in ocra con ornamenti arabeggianti tratti dalla Moschea di Cordova e dall’Alhambra di Granada, con attorno una vegetazione di palme e agavi a sottolineare l’esoticità del luogo.Il carattere innovativo della Serra era soprattutto nella tecnica costruttiva con l’utilizzo di materiali nuovi come la ghisa e il vetro.

Il prospetto principale è composto da sette scomparti con graffiti moreschi. Tutti gli scomparti erano scanditi da grandi finestre in ghisa decorate con vetri policromi sormontate da colonne esagonali in ghisa.

L’interno era decorato di specchi che moltiplicavano lo spazio della sala, adibita a serra per piante esotiche e rare ma usata anche per le feste. C’era infatti anche un pannello mobile che nascondeva un vano dove poteva trovare posto un’orchestra.

Addossata alla struttura della Serra si trova la Torre moresca composta da tre ambienti scalati.

La stanza più interessante era la Sala da pranzo con ricchissime decorazioni moresche, con stucchi d’oro e d’argento su fondi cremisi e blu oltremare e vetri multicolori. Nel centro della stanza era posto un divano tondo che, attraverso un meccanismo escogitato da Jappelli, si trasformava ruotando su se stesso  e incassandosi nella volta, in un baldacchino, mentre dalla sottostante cucina saliva una tavola imbandita.

La fragilità dei suoi elementi, tra cui il vetro, ne ha segnato il rapido degrado e il complesso fino a pochi anni fa versava in un desolante stato di abbandono, appena visibile tra la vegetazione spontanea che lo aveva completamente invaso ed inglobato.

Ingenti erano i danni e, solo per citarne qualcuno, nella serra era crollato il tetto, erano  completamente andate distrutte le vetrate colorate, su uno dei muri era addirittura cresciuto un cipresso e in tutti gli ambienti, graffiti e murales coprivano ciò che le intemperie avevano risparmiato delle decorazioni pittoriche delle pareti.

Lungo e complesso è stato il lavoro di restauro iniziato nel 2007 e ultimato nel 2012. L’edificio della Serra era ormai ridotto ad uno scheletro, ed è stato ricostruito a partire da disegni d’epoca per riproporre le originali decorazioni delle vetrate, con vetri soffiati a bocca per risultare trasparenti, importati da una fabbrica in Germania poiché era l’unico posto dove si potevano trovare prodotti con quelle caratteristiche.

Grazie al restauro, questo gioiello è tornato al suo antico splendore ma da allora è rimasto “in gabbia”, dato che non è ancora mai stato aperto al pubblico, poiché manca il bando per la gestione e l’utilizzo della struttura.

Nel 2014 rientrava in una serie di aree storiche da risistemare e da affidare in gestione ai privati secondo la proposta dell’allora capogruppo PD in Campidoglio. Non se ne fece nulla. E ancora oggi rimane chiusa e abbandonata.

* Domenica 16 Settembre 2018 dalle ore 16.30 scopriremo gli edifici e la storia di Villa Torlonia e al termine del tour degusteremo nel parco un raffinato e gustoso aperitivo preparato solo per noi 🙂

➡️ Per partecipare é obbligatoria la prenotazione inviando una una mail massimo entro Venerdì 14 Settembre a prenotazioni@vogliadiarte.com indicando i nomi e cognomi dei partecipanti, i loro indirizzi mail ed un cellulare di riferimento.

NB: Le foto del presente articolo sono tratte dal web

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La corona dell’Avvento

Ogni tempo liturgico ha i propri segni che lo contraddistinguono. Anche l’Avvento ha i suoi. Uno dei segni dell’Avvento è la corona con quattro candele che simboleggiano le quattro settimane del tempo d’Avvento.

La corona dell’Avvento
(Fonte foto: http://www.cantualeantonianum.com)

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Il “castello della Bella Addormentata” esiste veramente e si trova in un appartamento a Parigi

“C’era un odore di vecchio e di polvere. Camminavamo sotto alti soffitti in legno. Andando in cucina notammo un vecchio forno a legna e un lavandino in pietra, uno struzzo impagliato e poi un pupazzo di Mickey Mouse di prima della guerra, un comò squisito sul quale erano posti spazzole ed oggetti per il trucco e la cura personale. Ma il cuore ebbe un sussulto quando ci trovammo davanti una splendida tela raffigurante una donna in abito di seta rosa.”
(Ufficiale giudiziario Oliver Choppin-Janvry)

L’appartamento parigino di Madame de Florian
(Fonte foto: http://www.arte.rai.it)

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Un Folklore “vero” e un Folklore “falso”?

Il dibattito pro o contro la promozione turistica del folklore è un dibattito di lunga durata che vede contrapporsi i sostenitori a quelli che sono contrari. Le critiche sono rivolte soprattutto al fatto che, per venire incontro alle aspettative del turista, si trasforma la cultura popolare in spettacolo, mettendo in moto “una macchina perversa” la quale, in cambio del vantaggio economico, richiede un’esibizione folklorica pittoresca e di facile realizzazione per accogliere il turista. Per realizzare la spettacolarità e quindi attirare turisti si “ripescano” feste, giochi “pseudo-etnici” o che si richiamano a una tradizione ormai scomparsa; s’inventano costumi, coreografie e modelli canori orecchiabili. Molti hanno visto in questo una preoccupante forma di “perdita dell’identità”, poiché si adulterano i residuali contenuti di “autenticità” e si dà vita ad un folklore “stucchevole”, vuoto, artificioso, senza senso né radici.

Alla fine degli anni ’50 Paolo Toschi sosteneva che era importante che tutti fossero partecipi dell’importanza storica e del valore delle tradizioni popolari e per ottenere questo l’azione si doveva svolgere su due direttive: 1) pubblicare opere, saggi, e articoli di divulgazione scientifica, nonché organizzare congressi regionali e nazionali;                                                 2) intensificare le manifestazioni folkloristiche di maggiore attrattiva anche sotto il punto di vista del turismo, ma controllarle perché conservino il loro genuino carattere.

La sfilata dei Giganti a Messina. I Giganti, una donna bianca di nome Mata ed un guerriero nero di nome Grifone, sono due alti fantocci di cartapesta portati a spalla o trainati, danzando al ritmo di tamburi. Si tratta di una tradizione molto antica e una festa tra le più sentite dalla popolazione messinese. Anche in altre località italiane si trova la tradizione dei “Giganti”.
(Fonte foto: http://www.strettoweb.com)

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Turismo Culturale & Turismo Responsabile

Le radici storiche del turismo culturale moderno si collegano al fenomeno ben noto del Grand Tour. Nel XVII e XVIII il Grand Tour era il completamento necessario dell’educazione dei giovani aristocratici europei (soprattutto inglesi ma anche francesi e tedeschi), degli intellettuali, degli artisti, dei diplomatici e dei rampolli della nascente borghesia e l’Italia era tra le mete preferite.

Il celebre quadro che ritrae lo scrittore tedesco Goethe sullo sfondo dell’Appia Antica, tra resti di sculture e rovine di acquedotti. Il quadro, dipinto nel 1787 dal pittore tedesco Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, è considerato un vero e proprio simbolo del Grand Tour, rito quasi irrinunciabile per chi all’epoca si professasse amante dell’antico e potesse permettersi di intraprenderlo. E’ conservato a Francoforte, Stadtische Gallerie

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Turismo & Folklore

Il turismo è una caratteristica costitutiva della società contemporanea che induce numerosi processi di cambiamento. È infatti un importante fattore di mutamento culturale che crea nuove attività e spesso trasforma completamente la struttura economica delle comunità ospitanti; porta cambiamenti radicali nelle abitudini, negli usi, nella gestione dell’ambiente; introduce elementi nuovi di incontro-scontro fra culture.

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San Biagio nell’arte

Il culto di San Biagio è molto diffuso in tutto il mondo cristiano. Dall’Oriente, dove si sviluppa dal V secolo, tra il VIII e il IX secolo passa in Occidente. Ne rendono testimonianza le numerose cappelle, chiese e opere d’arte varie (affreschi, tele, sculture) dedicate al Santo.

San Biagio, ritratto con una lunga barba bianca, la mitra e il pastorale in atto benedicente, fine Trecento, Abside della chiesa della SS. Annunziata in Sant’Agata de’ Goti (BN)

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San Biagio Vescovo e Martire

Si conosce poco sulla vita di San Biagio, martire paleocristiano. Gli scarsi dati certi si sono mescolati con la leggenda già a partire dal secolo VIII. Anche se è impossibile disgiungere i dati storici da quelli leggendari, si deve tener presente che se da una parte non è opportuno che i racconti leggendari, che narrano del martirio dei santi dei primi secoli, vengano presi integralmente come dati storici, dall’altra non si deve ritenere che gli stessi racconti siano del tutto fantastici, poiché l’elemento storico di base esiste, e in genere riguarda quanto meno il nome, i luoghi dove si svolgono le vicende e i fatti originari.

S. Biagio Vescovo e Martire, Dipinto su tavola, sec. XVII, Torricella Sicura (TE)

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