La Chiesa di San Sebastiano al Palatino è posta nell’angolo nord-orientale di un terrazzamento artificiale nella cosiddetta “Vigna Barberini” e risale al X secolo. Fu edificata sui resti di un tempio, di cui oggi rimane solo il basamento, che l’imperatore romano Eliogabalo nel 220 – 222 d.C. dedicò alla divinità solare di origine siriana El-Gabal.

Gli affreschi superstiti
Prima dei restauri e rifacimenti di Urbano VIII Barberini risalenti al 1630, le pareti e la tribuna della chiesa erano interamente decorate con affreschi risalenti ai secoli X e XI, distrutti in seguito al restauro seicentesco. Furono realizzati però, per volere del Cardinale Francesco Barberini, una serie di acquerelli che riproducono gli affreschi della navata e del presbiterio prima della loro distruzione. Queste preziose testimonianze, realizzate dal pittore Antonio Eclissi nel 1630, sono oggi conservate nella Biblioteca Apostolica Vaticana.
Si conservano ancora gli affreschi dell’abside, risalenti alla fine del X secolo.
Lungo la fascia che decora la sommità dell’abside è raffigurato il monogramma di Cristo (l’abbreviazione del nome) con un festone di fiori e frutta.
Nel catino absidale, al centro, è rappresentato Cristo con la destra alzata e la sinistra che stringe un rotolo, forse i vangeli. Sulla sua testa, la mano benedicente di Dio Padre.
Il Salvatore è affiancato a destra da San Sebastiano e San Lorenzo e a sinistra da San Zotico e Santo Stefano. I quattro santi sono ben riconoscibili dalle scritte poste accanto a loro, attualmente solo in parte leggibili.
Nella fascia sottostante si trova l’Agnello Mistico, in posizione centrale e in asse con l’immagine di Cristo, verso cui convergono dodici agnelli che simboleggiano gli Apostoli che escono dalle porte di Gerusalemme e di Betlemme. Vi era anche una lunga iscrizione, ormai quasi illeggibile, che riportava un’invocazione alla Vergine per accogliere le preghiere di Pietro “medicus”, fondatore del complesso.

Più in basso, al centro, è raffigurata in posizione orante la Vergine tra due angeli e tra le Sante Lucia e Cecilia (a destra della Madonna) e Agnese e Caterina (alla sua sinistra).

Questi affreschi risentono degli schemi e dello stile bizantino unito a elementi di cultura locale. I dipinti sono caratterizzati da una vivace decorazione (come nelle vesti dei santi), da un intenso cromatismo e le figure sono evidenziate da un marcato linearismo.
Infine, il riquadro sottostante la Vergine, raffigura San Benedetto tra i Santi Pietro e Paolo. Quest’affresco è posteriore ed è databile al tardo XI secolo, periodo in cui si attesta la presenza benedettina nel complesso. Lo stile, ben diverso dai precedenti, non presenta la ricchezza decorativa di quelli e risente maggiormente della pittura bizantina.

Degli affreschi che decoravano le pareti ai lati dell’altare maggiore, sempre del X secolo, ci restano solo pochissimi avanzi. Era una raffigurazione su due registri dove erano rappresentati in alto i Vegliardi dell’Apocalisse di San Giovanni (iconografia in uso nella pittura romana, come a Santa Prassede, a San Paolo Fuori le Mura e a San Giovanni a Porta Latina), con figure di Profeti e Apostoli.
Nel registro di sotto, a sinistra Pietro offre a S. Sebastiano il modello della chiesa; a destra San Zotico prende delle offerte dalle mani di una donna, probabilmente la moglie di Pietro, il fondatore della chiesa.

Gli affreschi scomparsi
Le pareti della chiesa erano interamente ricoperte di affreschi, oggi scomparsi, con riquadri relativi alla vita di Gesù (circa 15), un riquadro per il martirio di San Zotico e cinque relativi al martirio di San Sebastiano.
Gli affreschi sono opera di un pittore che, alla dotta ed ieratica tradizione bizantina, unisce un carattere più popolare e vivace. Da ciò è possibile supporre che l’anonimo artista possa essere stato un monaco dello stesso convento, meno legato ai rigidi schemi di origine orientale.
La parete sinistra era affrescata con le cinque scene del martirio di San Sebastiano e gli episodi seguivano la narrazione della Passio Sancti Sebastiani (Acta Sancti Sebastiani), un romanzo storico ricco di particolari prodigiosi, scritto probabilmente nel V secolo da un monaco romano, Arnobio il Giovane.
Nella prima scena Sebastiano, legato ad un palo, è trafitto dalle frecce scagliate da quattro uomini ai suoi lati.
La Passio narra che il primo martirio, quello delle frecce, avvenne in una zona chiamata “campus” nel colle Palatino.
Nel riquadro successivo, Sebastiano viene curato dalla vedova Irene nella sua casa.
Gli arcieri abbandonarono nel campo il corpo di Sebastiano perché lo credettero morto. Durante la notte Irene, insieme ad altri cristiani, si recarono lì per dare degna sepoltura alla salma; Irene vide che in realtà il santo non era morto e lo portò nella sua casa sul Palatino per curargli le ferite.

Nel terzo, il corpo di Sebastiano viene sollevato da quattro uomini per essere gettato nella cloaca per rendere impossibile la sua sepoltura.
Una volta guarito Sebastiano non seguì il consiglio dei compagni di abbandonare Roma, ma affrontò l’imperatore Diocleziano “stans super gradus Heliogabali”, la gradinata che portava ai cinque ingressi del tempio di Eliogabalo sul Palatino, proclamando pubblicamente dinanzi a lui la sua fede. L’imperatore lo fece catturare nuovamente e ordinò che fosse flagellato a morte nell’hippodromus Palatii (lo Stadio di Domiziano della Domus Augustana al Palatino). Il secondo martirio di Sebastiano avvenne molto probabilmente nel 304 d.C. e il suo corpo fu gettato nella cloaca affinché non fosse recuperato, per impedire ai cristiani di seppellirlo e di venerare i suoi resti.

Nel quarto riquadro la salma di Sebastiano, recuperata, viene trasportata da due uomini seguiti da un corteo per essere sepolto. Il luogo dove seppellirlo viene indicato da papa Caio, riconoscibile dalla scritta presente nell’affresco. L’ultimo riquadro rappresenta la sepoltura del santo.

Ancora la Passio narra che la notte seguente al secondo martirio, il santo apparve in sogno alla matrona Lucina e le disse dove giaceva il suo cadavere per essere recuperato e seppellito nel cimitero sulla Via Appia presso la tomba dei SS. Pietro e Paolo in catacumbas.
Come è noto, i due martiri Pietro e Paolo erano stati seppelliti presso il Vaticano (San Pietro) e sulla via Ostiense (San Paolo). Anche se non vi sono prove archeologiche, numerose sono le attestazioni documentarie sulla presenza, per un certo periodo, dei corpi dei due martiri nel cimitero sull’Appia, dove si trovano anche molti graffiti con invocazioni ai due santi. Una delle ipotesi è quella che in seguito alla grande persecuzione attuata da Valeriano (metà del III secolo), i due santi fossero stati temporaneamente tumulati nel cimitero sull’Appia poiché considerato un luogo più sicuro.
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Scusa, come non detto! Non mi sono ricordato che, nella prima parte, avevi menzionato gli affreschi di Bernardino Gagliardi e la lapide….comincio ad invecchiare? di nuovo ciao
Il Papa Maffeo Barberini Urbano VIII° fece un altro salvataggio dai lavori di ristrutturazione della chiesa di S.Sebastiano del 1630: si tratta di una lapide di fine sec.X che parla di un certo Sig. Merco, il quale ad un certo momento della sua vita decise di abbandonare l’agiatezza familiare per ritirarsi in questo convento; detta lapide si trova vicino l’entrata, sulla parete di destra. Oltre agli affreschi “sopravvissuti” dei secoli X° ed XI° una particolare attenzione meritano i dipinti seicenteschi di Bernardino Gagliardi sulla lunetta dell’altare maggiore, dedicati a S.Sebastiano e sotto la cupola, raffiguranti Dio Padre con gli Angeli e, nei pinnacoli, la Carita’, la Costanza, la Contrizione e la Fede.
Ti saluto, ringraziandoti per le tue informazioni storiche ed artistiche su questa graziosa chiesetta….storia nella storia…ciao